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Spettacoli prosa 14/15
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Ecce robot!

Cronaca di un’invasione

Ecce robot!

produzione Frosini/Timpano
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi
di, con e regia Daniele Timpano
Liberamente ispirato all’opera di Go Nagai


Viva Mazinga! Lasciamolo vedere ai bambini, tanto non sarà lui a farli rincretinire.” – Marco Ferreri


Uno spettacolo su Mazinga Z e la “Goldrake generation”
Un attore ricostruisce la trama di un vecchio cartone animato giapponese.
Ispirato liberamente all’opera di Go Nagai, ideatore fra gli altri di Goldrake, Jeeg Robot e Mazinga Z, lo spettacolo ripercorre per frammenti l’immaginario eroico di una generazione cresciuta davanti alla TV nell’Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse, dell’ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni.
Tra resoconto delle trame dei singoli episodi dei cartoni giapponesi e ricostruzione storica di un’invasione –quella dei serial nipponici nei palinsesti pubblici e privati, ma anche quella della televisione dentro le nostre teste –, lo spettacolo è il divertito e autocritico racconto di una generazione che, ignara di vivere negli anni di piombo, cresceva tra robot d’acciaio.

Note di drammaturgia
Ero bambino, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, quando arrivarono in Italia i “famigerati” cartoni animati giapponesi. Si gridò subito all’invasione: l’invasione gialla. In principio era Goldrake.
“Ho visto un ragazzino cantarlo con grande fierezza e quasi con le lacrime agli occhi”, scriveva un allarmato Silverio Corvisieri sulle colonne di Repubblica, a proposito del celebre brano musicale che accompagnava i titoli di testa del programma: “Si trasforma in un razzo missile/ con circuiti di mille valvole/ tra le stelle sprinta e va…”.
In principio era Goldrake. Ma era solo l’inizio. Di lì a poco sarebbero seguite centinaia di serie televisive animate giapponesi a basso costo: “fatte male”, diceva la gente; ma anche e soprattutto “violente, diseducative, kitsch, pericolose e incomprensibili”: niente più che biechissimi prodotti di consumo, o almeno così venivano definite da schiere di sciocchi genitori, sciocchi intellettuali, sciocchi opinionisti e sciocchi sociologi dell’epoca.
I cartoni animati di maggior successo, e i più criticati, erano quelli di genere robotico, per lo più incentrati su grossi automi meccanici impegnati a difendere la terra dal nemico di turno: culmine di ogni puntata il rituale combattimento del robot buono contro quello cattivo, con l’immancabile annientamento del secondo.
Iniziata il 4 aprile del 1978 sulla seconda rete nazionale con Goldrake, l’invasione proseguirà su un’infinità di reti regionali, con particolare, mastodontica, incredibile abbondanza per tutti gli anni Ottanta.
I serial nipponici erano economicamente molto convenienti: niente di meglio per riempire i palinsesti.
Era anche l’Italia delle stragi, del rapimento di Aldo Moro, delle Brigate Rosse e dell’ascesa di Silvio Berlusconi e delle sue televisioni, ma questo io non lo sapevo ancora.
Trascorrevo i primi anni, un po’ come tutti i miei coetanei, davanti alla Tv dalle 5 alle 7 ore al giorno. Ignaro di trovarmi nel bel mezzo degli anni di piombo, vivevo l’infanzia tra robot d’acciaio.
Spigolosi, violenti, sessisti, scorretti, incuranti di qualsiasi bassa considerazione pedagogica, molti di questi cartoni animati, che sulla carta sembrerebbero essere, e in parte sono davvero, dei semplici sottoprodotti della cultura di massa, sono stati invece miti e modelli di riferimento, occasione di spunti, di traumi, di crescita o viceversa di rimbecillimento per tutta una generazione.

Diseducativi? Violenti? Pericolosi? Può darsi. D’altronde sono stati loro i nostri veri genitori.

Tutto ciò che so, che sento e sono, è cominciato – nel bene o nel male – davanti alla TV.

 

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