Via Hermada, 8 – 20162 Milano -
di Renato Sarti
dal libro di Giuseppe Valota Dalla fabbrica ai lager
con Marta Marangoni e Rossana Mola
In seguito agli scioperi − i più grandi nell’Europa occupata dai nazisti – che durante la Seconda guerra mondiale paralizzarono i maggiori stabilimenti a nord di Milano, centinaia di lavoratori di Sesto San Giovanni e dei comuni limitrofi furono arrestati e deportati nei lager. Uomini sottratti ai propri affetti, costretti a vestirsi rapidamente per poi sparire. Madri, mogli, sorelle e figlie si precipitavano inutilmente al carcere di San Vittore e in altri luoghi di detenzione di Milano alla loro disperata ricerca. Scritto da Renato Sarti, il testo nasce dalle testimonianze raccolte da Giuseppe Valota, presidente dell’ANED di Sesto San Giovanni e Monza recentemente scomparso, figlio di un deportato che perse la vita a Mauthausen.
Matilde e il tram per San Vittore mette in luce il “non eroismo” di migliaia di persone che si opposero al fascismo e al nazismo pagando un caro prezzo. Lo fa attraverso le voci di quelle donne che si ritrovarono improvvisamente costrette a gestire da sole un quotidiano di fame e miseria, nel terrore della guerra e dei bombardamenti. Nel dopoguerra per molte di loro incominciò un periodo d’attesa ancor più terribile. Dei cinquecentosettanta deportati delle grandi fabbriche, duecentoventitre non fecero ritorno e dieci morirono per le malattie contratte nel lager. Sia per le mogli, le sorelle, le madri e le figlie di quegli uomini che non tornarono, sia per quelle che ebbero la fortuna di riabbracciare il proprio marito, fratello, padre e figlio, la vita non fu mai più quella di prima.
Viviamo tempi veramente bui. Le offese a Liliana Segre, l’abuso e lo stravolgimento delle immagini e dei simboli della deportazione non sono fatti marginali, ma la punta di un iceberg grande e inquietante. In tutto il mondo assistiamo al risorgere di pericolosi populismi, che fanno leva sugli istinti più beceri e viscerali, sulla xenofobia, sul razzismo e sulla paura dello straniero. Molti vorrebbero portare indietro le lancette della storia e in questa partita giocata contro l’oblio − lo sport nazionale più praticato − il Teatro della Cooperativa si schiera in modo inequivocabile per fare, come ha sempre fatto, la sua parte. E il modo migliore mi è sembrato quello di partire dalle donne, perché fin dalle tragedie greche la loro voce è quella che meglio di ogni altra riesce con un impatto teatrale a rievocare l’orrore della guerra, che sempre nuovo si ripete.
Renato Sarti
RASSEGNA STAMPA ESSENZIALE
Renato Sarti, autore e regista sempre sensibile al tema della memoria, […] racconta le storie di Ines, Nini e altre donne, mogli, fidanzate, operaie che tra il ’40 e il ’44 a Sesto videro i loro uomini deportati. Il prezzo pagato dalla lotta antifascista fu di 570 deportati di cui 233 morti. Il peso delle loro memorie è rivissuto in un lavoro di autentica passione civile. […]
In questa rubrica si parla di cultura forse senza sottolineare abbastanza quanto essa sia valorizzazione della memoria storica, la quale a sua volta non è solo ricordo ma materia viva, perché la narrazione storica ci dà le motivazioni contro la banalizzazione degli orrori. L’altra sera Sarti ha detto: «Facciamo sì che il Giorno della Memoria diventi 365 Giorni della Memoria ogni anno». Giusto: ecco perché ne scriviamo.
Anna Bandettini, La Repubblica
La forza poetica di una storia vera.
Magda Poli, Corriere della Sera
Il mondo portato in scena, senza retorica, da Renato Sarti è un mondo popolare, in cui si parla un ben studiato e indagato dialetto fuori porta, e in cui si consolidano, e in alcuni casi si scoprono, solidarietà e mutuo soccorso proletario.
Adelio Rigamonti, SondaLife
“Matilde e il tram per San Vittore” nasce dalla passione di Sarti per la storia contemporanea. […] La narrazione enumera fughe, arresti, percosse, torture, uccisioni; tuttavia non degenera nel patetico, non esaspera la violenza. Un equilibrio di fondo, un sorriso sornione, prevale su tutto.
Vincenzo Sardelli, Krapp’s Last Post
Un racconto che cattura l’anima e la mangia insieme. […] È dolce ed insieme amaro, naufragare tra le parole di questo racconto che si fa necessario […] ed il dramma, i ritorni, quelli veri e quelli mancati, dal lager, hanno il loro acme nel diventare foneticamente in punta i piedi, come la neve, quando cadono, non fanno rumore nell’aria, ma fanno vibrare di un suono cardiaco, intimo, personale lo spettatore. […]
Danilo Caravà, Milano Teatri
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