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Goli Otok al Teatro Rossetti

Isola della libertà

Goli Otok al Teatro Rossetti

Gli stessi ideali che avevano indotto Aldo Juretich, studente fiumano, ad aderire al Partito Comunista e alla lotta partigiana: fu condannato alla reclusione e ai lavori forzati sull’isola per 22 mesi. Sopravvisse e dopo diverse traversie riuscì a stabilirsi a Monza, ma non a dimenticare quella sua dolorosa esperienza di vita. Sono le sue memorie il cuore dello spettacolo scritto dal triestino Renato Sarti e da lui stesso interpretato e diretto assieme a Elio De Capitani. Si tratta di una testimonianza importante che Juretich – mancato nel 2011 – affidò a Sarti nella speranza che la sua sofferenza non rimanesse inutile, che non accadesse ad altri di vivere simili disumanità. Questa speranza tanto forte e sincera ha motivato Sarti alla scrittura del testo e poi alla sua messinscena, evidenziando fin dal sottotitolo – “L’isola della libertà” – l’intento ultimo dello spettacolo.
Speranza nell’uomo e consapevolezza della storia e del passato, dunque, si fondono a una spontanea e intensa partecipazione emotiva davanti all’interpretazione di De Capitani (che in scena è Juretich, in una prova molto toccante) e di Sarti, che dà voce al medico croato che induce l’ex prigioniero a raccontare di sé. Pudore e paura, infatti hanno continuato ad attanagliare i reduci di Goli Otok – come molti altri “sopravvissuti” a simili atrocità – tanto che questa pagina di storia è rimasta a lungo poco raccontata. Il protagonista alla fine dà conto del proprio terribile vissuto, fatto di paura, fame, umiliazioni, sofferenze indicibili. Fra queste il dolore morale maggiore era probabilmente rappresentato dal tragico istituto della delazione e del massacro dei compagni di detenzione: tormentare i propri compagni di prigionia, spiarli era infatti l’unico umiliante modo che i detenuti avevano per dimostrare il proprio ravvedimento e per evitare le pressioni psicologiche e i soprusi subiti nel lager. Una volta liberi, però, li attendevano ancora umiliazione e isolamento sociale. Una via crucis che Aldo Juretich ha ripercorso con esemplare dignità e senza retorica.

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