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PRESENTAZIONE 2013/2014

PRESENTAZIONE STAGIONE 2013-2014
La vita xe un bidòn
Angelo Cecchelin

Al witz, “motto di spirito capace di aprire le porte al sapere” tipico dell’umorismo yiddish, hanno fatto ricorso illustri esponenti del teatro mitteleuropeo, da Nestroy a Karl Kraus, da Karl Valentin a Brecht, fino a Dürrenmatt e Thomas Bernhard.
A questa tradizione appartiene, a suo modo, anche il Petrolini di Trieste, Angelo Cecchelin, che sul witz, termine tutt’ora in uso nel dialetto della città, ha costruito il suo repertorio.
Espressione del mondo di cui, in un gioco di specchi, era allo stesso tempo parte integrante e cantore, il “poeta organico” Cecchelin traeva ispirazione dagli stessi venditori ambulanti, pescatori, operai e balordi che, oltre a frequentare le bettole di Citavecia, gremivano le sale in cui si esibiva.
“Monumento dell’umorismo triestino” per Tullio Kezich, eroe popolare e mina vagante per il potere, fu molto ricercato dall’autorità fascista, stabilendo, grazie a un curriculum giudiziario di tutto rispetto, il record di ottantasei diffide, tre anni di vigilanza speciale, due processi, tre arresti e altrettante sospensioni dall’attività. “I me lo ga portado via!” imprecava, davanti al nipotino Giorgio Strehler, Olimpo Lovrich, gestore del Teatro Fenice, ogni volta che lo arrestavano. Cecchelin ironizzava: “Beati gli assetati di giustizia, saranno giustiziati”.
Dal punto di vista giudiziario, le cose nel dopoguerra non cambiarono ed egli finì invischiato in una delle tante brutte storie di vendette e ritorsioni della tormentata Trieste di allora.
I suoi rapporti con l’autorità non si possono definire idilliaci neppure ora. E se a Trieste, sua città natale, si è deciso che Cecchelin non merita neanche l’intitolazione di un ponte pedonale, noi, a Milano, a cinquant’anni di distanza dalla morte, gli dedicheremo la prossima stagione. Ci sembra doveroso, non solo perché condividiamo la sua idea di un teatro legato direttamente alla realtà, ma soprattutto perché “ha sacrificato la sua vita per far ridere la gente”, come sottolineava Strehler. Nel buio della sala fumosa, il suo popolo, in adorazione, non era piegato dalle terribili condizioni di vita, ma dalle risate e non versava lacrime per la fame, le malattie e la guerra, ma per i suoi irresistibili witz. Anche perché, in fondo, “la vita xe un bidòn!”.

Due doverose considerazioni finali.
L’11 maggio scorso Niguarda è stato scenario di un fatto tragico. Siamo certi che la storia del quartiere, fatta di solidarietà, impegno, cultura, e anche di teatro, abbia permesso di arginare qualsiasi tipo di strumentalizzazione e di rimanere nell’ambito della riflessione e del dolore.
Infine: tre anni fa Fabio Chiesa dell’ATIR; due anni fa l’attrice Sonia Bonacina; il 18 aprile scorso, a causa di un ennesimo incidente stradale, è scomparso Emiliano Boga, grande amico, fotografo e delizioso collaboratore del Teatro. Crediamo che il modo migliore per ricordarlo, e per cercare di lenire il grande dolore che ci ha lasciato attoniti, sia quello di inaugurare la stagione con una sua mostra e lanciare un accorato appello per una viabilità più sicura a Milano: si deve incentivare un maggiore uso dei mezzi pubblici, costruire più piste ciclabili, imporre il limite dei 30 km orari in città e una maggiore severità nei controlli.

Renato Sarti

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