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Chicago Boys

Chicago Boys

produzione Teatro della Cooperativa
con il sostegno di Regione Lombardia – Progetto Next 2009
in collaborazione con La Corte Ospitale CHICAGO BOYS
testo e regia Renato Sarti
con Renato Sarti, Elena Novoselova
scene e costumi Carlo Sala
video realizzati in collaborazione con Fabio Bettonica e N.A.B.A. – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano
tutte le musiche sono di Lou Reed

“Ad un miracolo economico corrispondono schiavitù e miseria per la popolazione? Sì!”

Con questa frase comincia Chicago boys,una specie di conferenza “strampalata, senza lieto fine” che si svolge in un rifugio antiatomico. Una esaltazione surreale del capitalismo, del consumismo e della liberalizzazione più sfrenata. I Chicago boys sono stati un gruppo di economisti formatosi negli anni Settanta presso l’Università di Chicago, sotto l’egida del grande guru del liberismo, Milton Friedman, nobel per l’economia nel 1976. Friedman e i suoi seguaci esercitarono una profonda influenza sulle politiche economiche di molti stati, gli USA del presidente Ronald Reagan e l’Inghilterra del primo ministro Margaret Thatcher e poi dal Cile all’Argentina, dal Brasile alla Polonia, dalla Cina alla Russia, ecc. Le grandi multinazionali hanno avuto un ruolo di primissimo piano in un processo che ha portato allo smantellamento dello stato sociale, visto e combattuto come un virus infettivo, come un arto in cancrena da amputare. “Ma una stampella può camminar da sola?”. No. L’imposizione di questo tipo di economia è sempre stata preceduta e accompagnata da golpe, da spietate dittature, da sanguinose repressioni di piazza, dai desaparecidos, dalla tortura. Chiamare privatizzazioni le grandi razzie compiute nei confronti dei paesi poveri è un eufemismo. Queste politiche economiche hanno significato per una vasta parte delle popolazioni di quei paesi licenziamenti, diminuzione degli stipendi, delle pensioni, degli ammortizzatori e delle garanzie sociali, ma anche aumento dell’alcoolismo, delle tossicodipendenze, dei malati di AIDS, della prostituzione minorile, della miseria, della malavita, degli omicidi e dei suicidi. Che negli ultimi decenni le grandi multinazionali abbiano puntato l’attenzione pure su materie prime, come l’acqua, i cui titoli in borsa crescono mediamente del 30%, non è un dato meramente economico o finanziario: un rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà mondiale rivela che ogni giorno muoiono 4.900 bambini per mancanza di acqua potabile. Il nostro protagonista sguazza (mangia e si disseta) in una vasca, stile catafalco, piena d’acqua imputridita dai suoi stessi rifiuti. Al suo fianco una escort russa, che, dopo venti anni di schiavitù cerca il riscatto. Fra le anguste pareti del rifugio si consuma fra i due una lotta senza esclusione di colpi, una sorta di paradossale, e letale, guerra fredda,formato mignon. “Pubblicizzare le perdite e privatizzare i guadagni”. Il buon capitalista cade sempre in piedi; sa come avvicinare o allontanare lo stato (succhiando finanziamenti o evadendo le tasse) a seconda del momento e degli interessi eppure il ruolo che lo stato può avere nelle economie è tornato prepotentemente in voga proprio negli States! Chicago boys non vuole essere una rievocazione museale del crollo del muro, in occasione del ventennale, bensì un tentativo di rispolverare un po’ del buon vecchio Marx, e rammentare a coloro che per decenni hanno operato al motto di “Libera volpe in libero pollaio”, il proverbio greco: “Se vedi che non ti sazi, fermati!”.

Per informazioni > distribuzione@teatrodellacooperativa.it

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Rassegna Stampa

Francesco Bonazzi, Il Fatto quotidiano
Non sarebbe male spedire i 302 deputati che hanno appena approvato la privatizzazione dei servizi idrici a vedersi Chicago Boys […] La tiratona antiliberista che Sarti è riuscito a condensare in un testo teatrale è davvero di prodigiosa divulgazione.  
Moni Ovadia
Oltre al contenuto e alla denuncia sociale questo spettacolo è meraviglioso; ha una crescita drammaturgica e spettacolare che ti spiazza e che non ti aspetti: partendo infatti in una direzione molto forte ci si aspetterebbe che il tono rimanga quello per tutta la durata; invece no, cresce lasciandoti senza parole.
Francesco Bonazzi, Il Fatto Quotidiano, 22 novembre 2009
La tiratona antiliberista che Sarti è riuscito a condensare in un testo teatrale è davvero di prodigiosa divulgazione.
Maria Grazia Gregori, DelTeatro, 23 dicembre 2009
Teatro politico, sociale, di denuncia, oppure “soltanto” teatro… Sarti non accetta quello che nel mondo va storto, che produce ingiustizie, che mortifica l’individuo, che vanifica il ruolo sociale
Claudia Cannella, ViviMilano, 2 dicembre 2009
Si ride con l’orrore nel cuore.
Sara Chiappori, La Repubblica, 4 dicembre 2009
…arriva dritto alla pancia del pubblico, risvegliando l’indignazione. Era dai tempi di Mai Morti che la rabbia e l’impegno di Sarti non si coagulavano in uno spettacolo popolare tanto efficace.