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Una casa. Una famiglia. Una madre e due figlie.
È l’otto dicembre. L’albero di Natale va preparato.
Come fanno tutti. Come si fa sempre. Come tutti gli anni.
Rami, palline, luci, festoni.
L’albero è ingombrante.
È difficile capirsi, trovarsi, incontrarsi.
È difficile parlare, stare nel silenzio è insopportabile.
È difficile evitare di ricordare.
“La memoria ha il movimento della marea. Puoi solo subirla e semmai scansarti, se proprio non vuoi bagnarti i piedi”
È l’otto dicembre. Tre donne, una madre e due figlie devono preparare l’albero di Natale. Posizionare al meglio le luci, prendere le giuste palline, decidere come e quante metterne, scegliere la punta più adatta. Una serie di operazioni che si devono fare insieme, che richiedono tempo e pazienza.
La madre vorrebbe che tutto fosse perfetto, che le figlie riescano a godere della magia del Natale nonostante la recente morte del padre. Le figlie ostacolano il suo intento. La maggiore non vuole festeggiare, vorrebbe scappare, cercare un altrove a cui non pensare. La figlia minore, al contrario, vorrebbe festeggiare riproducendo esattamente il Natale passato: stesse palline, stessi regali, stessi vestiti, stesse portate, stesso numero di ospiti.
Nulla, nulla deve cambiare.
Ed è preparando l’albero di Natale che fanno intravedere le loro paure, i loro sogni, le loro ossessioni, le loro dipendenze, le loro fragilità. E, sempre involontariamente, si trovano faccia a faccia con quei ricordi che non riescono a far sbiadire.
Solo dopo la distruzione dell’albero di Natale, solo una volta libere dall’idea di dover festeggiare per forza, riescono a ritrovarsi. Nel caos, e non nell’apparente ordine precedente, riconoscono il dolore che le accomuna e trovano la voglia e la bellezza di ricordare i tempi passati.
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