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Oltre niguarda 17/18 Stagione 2017/18
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MATILDE e il tram per San Vittore – Piccolo Teatro Studio Melato

matilde_e_il_tram_per_san_vittore_teatro_della_cooperativa_maddalena_crippa_debora_villa_rossana_mola_renato_sartiAL PICCOLO TEATRO STUDIO MELATO

PRIMA NAZIONALE
testo e regia Renato Sarti
dal libro Dalla fabbrica ai lager di Giuseppe Valota
con Maddalena Crippa, Debora Villa, Rossana Mola
e Marika Giunta / Giulia Medea nel ruolo di Matilde
scena e costumi Carlo Sala
musiche Carlo Boccadoro
luci Claudio De Pace
progetto audio Luca De Marinis
dramaturg Marco Di Stefano
foto Laila Pozzo
produzione Teatro della Cooperativa
spettacolo sostenuto nell’ambito di NEXT ed. 2017/2018 – Regione Lombardia
con il sostegno di ANED
con il patrocinio di ANPI, ISTITUTO PARRI e ISEC
e con il patrocinio dei COMUNI DI ALBIATE, BRESSO, CINISELLO BALSAMO, MONZA E MUGGIÒ 

A causa degli scioperi che durante la Seconda guerra mondiale paralizzarono i grandi stabilimenti a nord di Milano − i più grandi nell’Europa occupata dai nazisti − centinaia di lavoratori di Sesto San Giovanni e dei comuni limitrofi furono vittime di retate spietate, sottratti ai propri affetti e deportati nei lager nazisti.
Matilde e il tram di San Vittore, scritto da Renato Sarti, nasce dalle testimonianze raccolte in più di venti anni da Giuseppe Valota, presidente dell’ANED di Sesto San Giovanni e Monza, figlio di un deportato morto in Germania. Un testo che vuole mettere in evidenza il “non eroismo” di chi si oppose al nazifascismo pagando un caro prezzo. Lo fa attraverso le voci di quelle donne che si ritrovarono improvvisamente da sole, costrette a vivere e a gestire un quotidiano di fame e miseria, nel terrore della guerra e dei bombardamenti. Alla disperata ricerca dei loro uomini, inghiottiti nel nulla, si precipitavano nei luoghi di detenzione dei nazisti e dei fascisti, fra cui la sede della famigerata Legione Ettore Muti, un luogo di tortura che nel dopoguerra diventerà il Piccolo Teatro di Milano.
Nel clima festoso del dopoguerra, per molte di quelle donne incominciò un periodo ancor più terribile, quello dell’attesa spasmodica. Dei cinquecentosettanta deportati delle grandi fabbriche, duecentoventitre non fecero ritorno e dieci morirono per le malattie contratte nel lager. Eppure, sia per le mogli, le sorelle, le madri e le figlie di quegli uomini che non tornarono, sia per quelle che ebbero la fortuna di riabbracciare il proprio marito, fratello, padre e figlio, la vita non fu mai più quella di prima.

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