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2011/2012 archivio
Nessun spettacolo in programma

muri india 2012

 

dal 17 al 22 gennaio 2012 – al Teatro India di Roma

produzione Teatro della Cooperativa
in coproduzione con Mittelfest
con il sostegno di Regione Lombardia – Progetto Next
con il sostegno della Provincia di Trieste
premio Fondazione Anima 2012

MURI – prima e dopo Basaglia
con Giulia Lazzarini
testo e regia Renato Sarti
scene e costumi Carlo Sala
musiche Carlo Boccadoro
progetto luci Claudio De Pace
foto Emiliano Boga

Camicie di forza, somministrazione in dosi massicce di psicofarmaci, lobotomia, elettroshock. Questo era il manicomio prima dell’entrata in vigore della legge Basaglia: un luogo di isolamento in cui, sui ricoverati (ma sarebbe più giusto adoperare la parola “internati”) si perpetrava ogni tipo di violenza e di tortura.

Nel 1972 avevo appena incominciato a fare l’attore in un piccolo gruppo teatrale a Trieste e la direzione dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale ci concesse l’uso del teatro situato nel comprensorio manicomiale a condizione che, durante le prove e gli spettacoli, fosse consentito l’accesso agli utenti. Io ero ancora un ragazzo e non ero al corrente dei grandi mutamenti che in quegli anni stavano rivoluzionando la psichiatria. Sta di fatto che per un anno mi ritrovai in un mondo di cui poco sapevo e del quale avevo solo un lontano, vago ricordo: uno zio di mio padre simpaticissimo (ma che beveva molto), ricoverato e poi morto in quell’ospedale nel 1955.

Durante le prove, nel teatro venivano spesso degli utenti. Fra questi c’era Brunetta, una ragazza lobotomizzata, che aveva marchiata sul suo volto tutta la violenza di cui le istituzioni sono capaci: pochi denti, occhi infossati, cicatrici. Insieme a una parte del cervello le avevano tolto anche la capacità di camminare diritta e l’uso della parola. Ciondolava in avanti, braccia a penzoloni, e si esprimeva a mugugni, come una scimmietta. Si sedeva con noi e non chiedeva altro che quello che per anni le era stato negato: comprensione e rispetto. Ogni gesto di affetto lo ricambiava con un sorriso che, nonostante fosse sdentato, era meraviglioso.
Nel ’74 sono venuto a Milano a fare teatro. Brunetta non c’è più da parecchi anni, ma i suoi sguardi e la sua storia fanno indelebilmente parte della mia.
L’anno scorso, in occasione del trentennale dell’entrata in vigore della legge Basaglia, raccolsi delle testimonianze con l’intento di farne un testo che partisse però dall’altra parte della barricata, quella degli infermieri. E l’aspetto più significativo della ricerca è stato quello di scoprire che l’esperienza di Basaglia non ha rivoluzionato soltanto la professione dell’infermiere: ha scardinato le ipocrisie e le arretratezze della società italiana, ha sbriciolato convinzioni che riguardavano la sfera più nascosta dell’intimo e del personale perché – come diceva Saba – il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Nel momento in cui il rispetto, la disponibilità e il dialogo prendevano il posto della prigionia e dei maltrattamenti, le lacerazioni che avevano segnato la vita degli utenti facevano venire a galla, come un tappo di sughero, le sofferenze di coloro che avrebbero dovuto curarli.
Perché la mansione principale del personale ospedaliero con l’arrivo di Basaglia non era più soltanto custodire e pulire, custodire e pulire, custodire e pulire, ma diventava il confrontarsi, dialogare, ascoltare. E allora, inevitabilmente, si metteva in moto uno strano meccanismo, in cui il confine che separa la normalità dalla follia rivelava tutta la sua precarietà.
L’infermiera del testo rivive la sua esperienza di tre decenni, riflette su quello che ha visto e vissuto in ospedale e lo fa con una nostalgia particolare (ma quela del poeta, quela che te sa tropo ben che non pol tornar), ma soprattutto con la lucidità estrema, quasi spietata, di chi si rende conto che la spinta di quegli anni si è affievolita, e rischia di finire inghiottita dall’indifferenza che – in un brusio continuo di antenne e motori – sempre di più ci avvolge e ottunde.

Renato Sarti


Teatro INDIA – Lungotevere Vittorio Gassman 1, Roma
Info e prenotazioni: 06 684 00 0314

 

16 gennaio ore 17.00 | Sala Squarzina – Teatro Argentina

I MURI NEL 2012’
dibattito sui temi dello spettacolo

All’incontro interverranno:

Giulia Lazzarini – attrice;
Peppe dell’Acqua – Direttore Dipartimento Salute Mentale Trieste;
Fabrizio Gifuni – attore;
Maria Grazia Giannichedda – sociologa ‘Fondazione Franco e Franca Basaglia’;
Tommaso Losavio – psichiatra ‘Fondazione Franco e Franca Basaglia’;
Renato Sarti – regista e drammaturgo;
presenta l’incontro Franco Scaglia – Presidente del Teatro di Roma.

 

Ingresso libero

 

 

RASSEGNA STAMPA ESSENZIALE:

(…) è da segnalare non solo per la sua contiguità con i temi delle diversità, la toccante performance di Giulia Lazzarini su testo e regia di Renato Sarti: Muri – prima e dopo Basaglia – tratto dalla testimonianza di un’infermiera, Mariuccia Giacomini, casualmente entrata a lavorare nel manicomio di Trieste. Con quella sua impalpabile leggerezza coniugata con una stupefacente densità espressiva, la Lazzarini ha restituito alla figura di una persona semplice, ma dal cuore ben fatto, che prende lentamente coscienza del significato e del valore umano, prima ancora che scientifico, sotteso alle rivoluzionarie direttive di quel medico atipico. Al termine, mentre ancora risuonano gli applausi del pubblico nella chiesetta sconsacrata di Santa Maria in Corte, una donna matura dall’aspetto accattivante si avvicina allo spazio scenico ed abbraccia con trasporto Giulia che, dopo un istante di stupore, riconosce in lei, con commozione, il personaggio cui ha dato voce.

(Claudio Facchinelli Teatri delle diversità)

Abbiamo visto ieri lo spettacolo Muri dell’ormai nostro milanese Renato Sarti, che ha portato in scena le parole, raccolte in un’intervista con una delle infermiere dell’ospedale psichiatrico di Basaglia, e le ha affidate a Giulia Lazzarini.
Ci sono stati dei momenti di assoluta emozione, di grande tensione emotiva, tutto detto attraverso la voce di Giulia Lazzarini che mai come in questa occasione, e noi milanesi la conosciamo molto bene, è riuscita a stare in una fascia di tono molto più stretta, ma in questa fascia di tono a raccontare tutto, tutto il passato attraverso la quotidianità di quella che è stata l’esperienza di Basaglia, senza una vera riflessione critica/teorica di quello che è stato, ma semplicemente riportando la vita quotidiana di quello che succedeva all’interno delle mura del manicomio quando Basaglia ha preso le redini a Trieste di questa realtà e come questa realtà ha cambiato il modo di intendere la malattia mentale e anche quindi il modo di curare, se si può usare questa parola visto che Basaglia ovviamente non voleva assolutamente che venisse pronunciata. Ecco, tutto questo in una situazione di grandissima tensione emotiva e sintesi.
Infatti, quando alla fine la vera Mariuccia, questo il nome della vera infermiera, è salita sul palco ed ha incontrato la Lazzarini, le due si sono messe a piangere una davanti all’altra.
A loro si è aggiunto anche Renato Sarti, con lacrime vere, e c’è stato questo corto circuito improvviso, di totale sintesi di teatro/vita/realtà e riflessione, quanto di più non può dare una scena dal vivo, in qualche modo.

(Sandro Avanzo, Radio Popolare – 21 luglio 2009)

(…) la seconda immagine è quella che ci hanno rovesciato addosso in Muri una grandissima Giulia Lazzarini e Renato Sarti, drammaturgo che ha fatto del teatro politico e sociale il suo credo. E’ una storia vera che nasce dalla testimonianza di Mariuccia Giacomini, infermiera al manicomio di Trieste, ora volontaria per i disabili mentali. E’ il racconto dell’orrore di quel luogo che il dolce accento triestino che Lazzarini sa dare al personaggio, conservandogli la forza dirompente della testimonianza di prima mano, non mitiga certo. Anzi le violenze inaudite sui malati, le lobotomizzazioni e gli elettroshock inutili, le punizioni efferate, perpetrate contro gli esseri umani ridotti a vegetali, hanno se possibile una valenza ancora maggiore. Tutto questo venne spazzato via da Franco Basaglia, schivo eroe del nostro tempo, che 31 anni fa cancellò dalla storia i manicomi prigione.
Ma Muri non è soltanto questo: è la storia vera di una presa di coscienza, di una crescita personale, professionale e politica che il racconto della Giacomini, presente in sala, evidenzia con forza e che Giulia Lazzarini sa comunicarci con una semplicità, una condivisione straordinaria. Commovente l’incontro in palcoscenico tra le due donne a coronamento di una testimonianza di teatro e di vita salutata da ovazioni. Lo spettacolo che va oltre lo spettacolo che vorremmo venisse rappresentato un po’ dovunque a partire dalle scuole. Ma questo, probabilmente, è solo un sogno.

(Maria Grazia Gregori, L’Unità 22 – luglio 2009)

(…) Muri di Renato Sarti ci ha strattonato dalla comoda quotidianità, trascinandoci nelle stanze della morte di un allora non proprio preistorico. (…) alle volte il segreto sta nelle piccole cose, non negli effetto hollywoodiani. Basta una voce e una povera scena. Un tavolino con sopra un paio di tazze e una teiera di ceramica. E un leggio. E Giulia Lazzarini, strehleriana di ferro, una delle grandi figure di quel teatro di parola in via di estinzione. (…) Lei, milanese, si è confrontata con un triestino doc, complice una confessione. Quella della signora Mariuccia Giacomini, per trent’anni infermiera; prima nell’inferno, poi in un angolo di paradiso. Ha svuotato il sacco, Mariuccia. E Sarti ha raccolto con ordine orrore e speranza. (…) La Lazzarini non cerca l’accademia, usa la confidenza di chi sussurra dei vecchi segreti. Ah, con la mente sei in mezzo a quella follia. Le immagini sono così nitide da inquadrarlo, quel manicomio. (…) Ci alziamo in piedi ad applaudire. La vera Mariuccia e Giulia Lazzarini si abbracciano in scena. Anche stavolta l’indifferenza è stata sconfitta.

(Giampaolo Polesini – Messaggero Veneto – 22 luglio 2009)

Renato Sarti porta sulla scena col titolo Muri il diario di una donna che lavorava al manicomio di Trieste e visse in prima persona le trasformazioni ciclopiche di franco Basaglia che portarono alla legge 180. Più ricco di tante celebrazioni, il diario di Mariuccia Giacomini, trova voce e pieghe insinuanti, tra tenerezza, stupore e fierezza, nella bella lettura di Giulia Lazzarini, discretamente accompagnata dai cenni musicali di Carlo Boccadoro. Molta commozione da parte del pubblico, e anche dell’attrice. (…) Una lezione di civiltà anche attraverso i sentimenti più semplici per raccontare una delle trasformazioni più complesse della nostra società.(Gianfranco Capitta, Il Manifesto – 26 luglio 2009)

 

Interpretato da Una straordinaria Giulia Lazzarini (…)
Uno spettacolo civile che non vuole essere facile agiografia di un uomo eccezionale (…) e che ha in sé un insegnamento etico potente (…)

(Magda Poli, Corriere della Sera, 5 ottobre 2010)

Un percorso di formazione plasmato da una generosità didattica d’altri tempi affidato alla strepitosa bravura di Giulia Lazzarini (…)Un lunghissimo applauso finito in una standing ovation per Lazzarini e per Renato Sarti.

(Toni Jop, L’Unità – 4 ottobre 2010)

(…) è l’espressione artistica compiuta di un felice incontro: quello tra un regista e autore intelligente – che sa coniugare i tempi teatrali con il racconto emozionato ed emozionante della nostra realtà sociale – con una bravissima interprete che presta il suo corpo, la sua gestualità studiata eppure spontanea, la sua commozione autentica e la sua voce a tratti spezzati e, a tratti, melodiosa, all’unico personaggio in scena: una tra le infermiere che fu accanto a Basaglia nell’ospedale psichiatrico di Trieste. Perché la scelta intelligente di Sarti è stata quella di non di mettere in scena l’uomo e il medico, bensì una donna, una persona che nella sua semplicità racconta la propria esperienza in manicomio prima e dopo l’avvento della legge 180. (…) tutto funziona, dalle luci di De Pace in grado di dare a un semplice telo la consistenza di un muro e la vità delle onde del mare, alla scenografia essenziale di Carlo Sala – perfetta come un cronometro svizzero – per finire con le musiche di Carlo Boccadoro che accompagnano con la delicatezza di un carillon il racconto di una vita, il racconto di ogni vita.

(Simona Figerio, Persinsala – 3 ottobre 2010)

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